Madri Assassine tra Innocenza e Violenza

Mamma è insieme l'inizio e la fine del mondo, colei che dà la gioia e acquieta il pianto; che dà il sorriso, la pace, il sonno, la tranquillità. Scopre lo sguardo di amore incondizionato e adorante del suo bambino, che le fa assaporare il senso della vita.
Purtroppo, questa figura idilliaca viene frantumata in un attimo, quando troppo spesso sentiamo parlare dell'ennesimo caso di infanticidio. Ad oggi, il figlicidio rimane un delitto ad alta visibilità sociale che provoca allarme nelle persone, suscita timori, condanne e stupore e lascia ancora numerosi punti oscuri ed interrogativi a cui la scienza attuale del comportamento non sa rispondere.
Nell'ottica psicopatologica, si chiama proprio "Complesso di Medea" il quadro sindromico nel quale il genitore di sesso femminile, posto in situazione di forte stress emotivo e/o conflittuale con il partner, utilizza il proprio figlio per scaricare la sua aggressività e frustrazione, arrivando anche all'azione omicidiaria del piccolo, strumento di potere e di rivalsa sul coniuge. E' allora che il mito di Medea si ripresenta oggi nella veste della Sindrome di Medea, e così il simbolo, creatore ed efficace mezzo di comunicazione, cede il posto al sintomo, al cattivo dispiegarsi della cosiddetta patologia.
Certamente, se la maternità è una scelta consapevole e matura, è anche l'esperienza più straordinaria della propria vita, ma la solitudine, l'inaspettata fatica fisica e mentale che comportano l'allevamento di una creatura neonata, mai abbastanza narrate e condivise perché faccende di poco conto nella società che pure sprona le donne a essere madri, sono a volte troppo grandi anche per donne preparate, figuriamoci per quelle più giovani, meno acculturate, o in condizioni economiche precarie: un gran numero di donne, quindi, oggi, in Italia. E quando si assiste a fatti di cronaca che coinvolgono donne che si macchiano del peggiore dei peccati, allora ci si pone mille domande, sempre le stesse. Quali percorsi di abbandono, solitudine, emarginazione, ignoranza si sono intrecciati nella vita di questa donna, perché ora si ritrovi in una situazione così terribile e desolante? Quando la nostra collettività evoluta e globalizzata, salvo sgomentarsi di fronte ai fagotti nei cassonetti, si chiederà come accade che una ragazza "normale" diventi un'assassina, di sua figlia/o e di se stessa? E poi se, per ipotesi, questa donna avesse chiesto aiuto, perché non l'ha trovato, nella civile Italia del G20, dell'Europa, dell'Occidente?
La maternità diventa la conquista lenta e consapevole di un' identità, tutt'altro che scontata per donne con la testa e le giornate piene di cose da fare. Essere mamma si configura come una "rivoluzione del cuore, ma anche e soprattutto della mente". Rivoluzione che prende avvio già all'inizio della gravidanza e che si radica in quel conflitto psico-biologico, in quella lotta interiore che segna profondi cambiamenti nella psiche della madre.
Si è parlato così a lungo dell'amore materno come di un istinto innato tanto da farci convincere che questo comportamento sia radicato nella natura stessa della donna, senza distinzione di luogo o di tempo. Ogni donna, nel momento stesso in cui diventa madre, dovrebbe trovare in se stessa tutte le risposte alla sua nuova condizione. Poiché la procreazione è un fatto naturale, si presuppone che al fenomeno biologico e fisiologico della gravidanza debba corrispondere un determinato comportamento materno. Ma è davvero così? L'amore materno è, dunque, come vogliono farci credere un istinto che scaturisce dalla "natura femminile" o piuttosto risente, ampiamente, di un comportamento sociale, variabile secondo le epoche e le abitudini? Opinioni diverse si contrappongono a riguardo. Di certo, il nostro obiettivo oggi è quello di sfatare un po' di miti che incatenano la donna in una condizione di preconcetti e doverizzazioni andando oltre l'immaginario collettivo.
Elisabeth Badinter afferma che l'amore materno è soltanto un sentimento, e come tale essenzialmente contingente, incerto e imperfetto; può esistere o non esistere; esserci o sparire; rivelarsi forte o fragile; privilegiare un bambino o comprenderli tutti. L'interesse e la dedizione per il bambino possono o meno manifestarsi così come la tenerezza può essere presente, ma anche mancare. I diversi modi di esprimere l'amore materno, perciò, vanno dal più al meno passando per il nulla, o il quasi nulla. Non esiste una legge universale e, contrariamente a quanto si crede, tale amore non è inciso profondamente nella natura femminile. Dunque l'amore materno non va dato per scontato: infatti è un "amore in più". Questo "in più" è il frutto dell'accoglimento della relazione, non virtuale, tra lei e chi sta accogliendo, un percorso, un processo, una scelta, una rinascita, ma diventa condanna, se ancora è destino, solitudine, esperienza irrilevante.
I tabù, come le convinzioni, diventano un veleno, un ostacolo al progresso. L'idea del divenire madre come stato paradisiaco che viene acquisito all'istante, per istinto, appartiene a questa categoria. Categoria che va, quindi, combattuta dentro l'immaginario collettivo, per il nostro bene. Pertanto, formulare un nuovo discorso sulla maternità presume che si ripensi alla maternità sottraendola all'ovvietà che dissipa la ricchezza delle sue risorse. Se provassimo ad elaborare un "involucro empatico sociale non giudicante", sapremmo prestare un'attenzione autentica a questi eventi. Non sono i curanti che fanno la cura, ma la società. La maternità è un luogo di passaggio che deve essere pensato e contenuto dalla nostra società, come fa una madre con un figlio. Dobbiamo esserci per tutte le madri: in primo luogo, perchè le madri sono necessarie a tutti; in secondo luogo, perchè la forza delle madri è la loro debolezza.
"Affinchè il domani partorisca figli vivi e felici", dunque è necessario in primis garantire prevenzione, assistenza e cura per qualsiasi donna che inizi il lungo e arduo percorso della maternità e secondariamente attivare una trasformazione, doverosa e urgente, all'interno dell'immaginario collettivo diretta ad una maggiore sensibilizzazione verso questi drammi individuali e familiari che affliggono, ancora oggi, questa moderna società. La società, da parte sua, è chiamata ad accogliere il vissuto di questa madre per evitare che il suo disagio sfoci nell'epilogo peggiore. Atroce conclusione, la cui colpa non deve essere imputata alla sola madre, ma a tutti noi, che non abbiamo saputo ascoltare, osservare ed accogliere. Le madri sono un bene comune, sono il nostro divenire. E perciò vanno tutelate.
Tutto può essere accolto umanamente per prevenire i drammi. Non possiamo sradicarli tutti ma possiamo, senz'altro, evitarne molti.
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P.s. Se sei mamma o qualora tu voglia diventarlo, questo è per te.
Un vademecum di consigli rivolti a tutte le mamme del mondo:
- Abbiate fiducia nella vostra storia all'alba della vostra maternità: non esistono cattive storie, ma solo dei racconti di vita che trovano o meno le parole per esprimersi;
- Dite la vostra sofferenza, i dubbi, le paure, condivideteli in modo che possano essere elaborate delle risposte, da voi stesse e da coloro che vi circondano;
- Ammettete senza vergogna i vostri pensieri e i vostri sentimenti;
- Accettate senza sensi di colpa le cose che trovate strane in voi in questo periodo particolare;
- Rompete la solitudine se provate dei sentimenti negativi verso voi stesse;
- Abbiate stima di voi stesse come madri, anche di fronte a delle emozioni contraddittorie;
- Fate tutte le domande che dovete fare, anche se il tempo del colloquio con il medico vi sembra contato;
- Fate piazza pulita delle idee preconcette che vi maltrattano: essere madre si vive nel tempo. Non esiste nessuno istinto in questa maturazione.