La forza d'urto di thirteen reasons why (no spoiler)"

Tredici, o Thirteen Reasons Why che dir si voglia, è la serie del momento. Tratta dall'omonimo romanzo finora non molto conosciuto di Jay Asher, prodotta interamente da Netflix e distribuita sulla piattaforma digitale dal 31 marzo scorso, sta spopolando in Italia come nel resto del mondo, suscitando in egual misura commenti positivi e pesanti critiche. Il motivo? I suoi temi scottanti e la crudezza con cui vengono trattati. Ho finito di vederla un paio di giorni fa e questo è il mio personale punto di vista dopo aver rimesso in ordine le emozioni e i pensieri che questa serie inevitabilmente smuove.
La storia è quella di Hannah Baker, studentessa di una comunissima High School (equivalente al nostro liceo) statunitense, di quelle con gli armadietti, palestre fighissime, squadre di basket e football con tanto di cheerleaders che Holliwood ci ha ormai abituato a vedere. Fin qui nulla di straordinario, se non fosse per il fatto che la voce di Hannah ci arriva dai nastri di alcune audiocassette numerate con smalto blu e le sue vicende passate le ricostruiamo a ritroso seguendo il percorso del suo amico Clay Jensen, l'altro protagonista di Tredici. La diciassettenne è infatti morta suicida e prima di togliersi la vita ha inciso su tredici lati di sette vecchie audiocassette le tredici vicende, ogni lato legato a una persona specifica, che l'hanno portata a prendere l'estrema decisione, le tredici ragioni per cui. Le cassette insieme a una mappa della città segnata con i luoghi significativi per la storia di Hannah, devono circolare tra queste persone secondo un preciso schema architettato dalla ragazza.
La serie segue quindi le vicende fortemente emotive dei due protagonisti, con un continuo alternarsi di flashback e presente reso tramite sapienti giochi di luce, più calda nel passato in cui Hannah è in vita e fredda e tetra nel presente. Il contesto è parte integrante della storia: la società di oggi, quella dei social media, una comunità scolastica stravolta dall'accaduto, dirigenti e insegnanti preoccupati per la possibile reiterazione e per il danno d'immagine della scuola, studenti rabbiosi per le scomode verità che le cassette porterebbero a galla e forse in pochi realmente dispiaciuti della scomparsa di Hannah; ma anche genitori che con diverse modalità cercano di penetrare e comprendere, o a volte evitare e ignorare, il mondo interiore dei propri figli adolescenti. Uno dei leitmotiv di tutta la serie sono proprio le difficoltà di comunicazione: la difficoltà di un figlio a confidarsi con i propri genitori, spaventati a loro volta da questa "chiusura", vista come un segnale di pericolo; la paura di una diciassettenne ad esprimere liberamente la propria essenza e le proprie emozioni nella brutale società dei "leoni da tastiera", pronti a divorarti per una foto travisata o una voce di corridoio; l'incapacità di raccogliere e riconoscere una richiesta di aiuto, tra coetanei e non. E il suicidio di Hannah a fare da cornice perpetua alle tredici puntate. L'argomento principale della serie e delle polemiche che le fanno da seguito. Nonostante alla stesura della sceneggiatura abbiano partecipato diversi professionisti della salute mentale, le polemiche arrivano oltre che dalle associazioni "anti-suicidio", anche da altri psichiatri, psicologi e psicoterapeuti. La colpa di Thirteen Reasons Why sarebbe quella di essere troppo esplicita nell'esporre alcune problematiche e alcune scene, nonché quella di fomentare la falsa idea che il suicidio rappresenti una sorta di vendetta personale e di renderlo agli occhi dei ragazzi un'"opzione di fuga dai problemi e dal dolore". Questa potrebbe però risultare un'ulteriore semplificazione del fenomeno. Nel caso della protagonista non c'è vendetta, se non nella registrazione delle cassette; registrazioni che, seppur legate a persone specifiche, fungono più da "cronologia della fine" per la protagonista e che quindi riflettono la natura razionale dell'atto suicidario, non frutto di irrazionalità o richieste di attenzioni. La serie più che rendere il suicidio un'opzione plausibile, lo mostra nella sua fatalità di ultimo atto di una lenta ma continua caduta verso il fondo, caduta che in alcuni casi non permette di scorgere eventuali appigli di salvezza.
La serie è molto dura, è vero. Ma tratta l'argomento del suicidio, e non solo, con estremo senso di realtà e sensibilità, con la durezza e l'impatto visivo ed emotivo che caratterizzano tali questioni. Il tutto si condensa nella straordinaria interpretazione degli attori, quasi tutti emergenti, nella scelta della colonna sonora, che definire azzeccata è riduttivo e nell'ottima regia. Thirteen Reasons Why è una storia sulla sofferenza giovanile e la sofferenza esplode sullo schermo in tutta la sua dolorosa potenza e ruvidità. E' una storia per ragazzi e per adulti, una storia non banale. Una storia da seguire, da sentire, da vivere, da farci a pugni. Una storia da cui imparare.
Scritto da Paolo Garzoli