Alice nel Paese delle Meraviglie

14.03.2017

La celebre fiaba di Lewis Caroll, Alice's Adventures in Wonderland, racconta le curiose e bizzarre avventure di una bambina che perde e ritrova se stessa nell'inseguimento di un coniglio bianco, attraversando un mondo che le regala un diverso punto di vista: tutto è rovesciato; la logica diventa analogia, il basso alto, il grande piccolo, il paradosso e il rigore si invertono e si corrispondono.

Questo romanzo ha offerto diversi spunti e alimentato numerose discussioni sul valore filopsicologico dei personaggi e della narrazione. Tralasciando, almeno per il momento questo controverso dibattito (chissà mai che mi vada di dire la mia sul valore metaforico di Alice, in futuro!), vorrei raccontare della sindrome che eredita da questa favola l'omonimo titolo.

Il termine di Sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie è stato coniato per la prima volta dallo psichiatra britannico John Todd nel 1955, per specificare un insieme particolare di sintomi intimamente associati all'emicrania e all'epilessia che riguardano prevalentemente distorsioni percettive, cioè alterazioni delle informazioni sensoriali relative a se stessi e al mondo circostante.

Todd aveva scoperto che molti dei suoi pazienti, che soffrivano di gravi attacchi di emicrania, vedevano e percepivano gli oggetti in modo sproporzionato, soprattutto dopo un'intensa aura encefalica. Essi presentavano una distorsione del senso del tempo, dello spazio e del tatto, così come percezioni distorte di parti del proprio corpo.

Questi sintomi ricordano ovviamente le esperienze di Alice, che assaggiando un fungo o seguendo il suggerimento di una bottiglietta dal contenuto misterioso, si ritrovava a vivere esperienze di crescita e decrescita improvvise.

L'ipotesi avanzata da alcuni autori (Todd 1955; Lippman, 1952; Fine, 2013) è che Caroll, soffrendo egli stesso di emicrania, si sia ispirato alle sue personali sensazioni per ideare e descrivere gli strani mutamenti della protagonista.

Nel corso del tempo, l'interesse per la Sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie è progressivamente aumentato. Sono stati svolti numerosi studi che hanno cercato di definirne le cause e le forme di manifestazione. Il problema è, di fatto, che i sintomi possono facilmente essere scambiati per quelli di alcuni disturbi psicotici. Alcuni autori (Lippman, 1952; Todd, 1955) hanno notato che molti pazienti sembravano reticenti nel riportare le loro esperienze per imbarazzo e per timore di essere descritti come folli.

Dare un nome a questa sindrome è dunque di grande utilità per queste persone, al fine di impedire lo sviluppo di credenze erronee e arginare il senso di sofferenza e alienazione, sperando che chiedere aiuto sia per loro più facile.

Alcuni interessanti dati riguardano il manifestarsi dei sintomi della Alice in Wonderland Syndrome anche in età infantile. Grant Liu, pediatra del Children's Hospital di Philadelphia, ha effettuato uno studio volto a indagare l'espressione dei sintomi della sindrome in 48 bambini con tale diagnosi (2014). Le illusioni più frequenti riguardavano il vedere gli oggetti più piccoli (micropsia) o più lontani (teliopsia). Rimandando a quanto già accennato precedentemente, è difficile per le famiglie affrontare una situazione simile: lo stesso Liu, in un'intervista, ha affermato di aver posto così tanto interesse alla definizione della sindrome per dare una voce ai bambini, una voce ai genitori, per renderli in grado di comprendere ciò che sta accadendo ai loro figli. 

Per capire fino in fondo questa sindrome saranno necessari ulteriori studi. Il racconto di Lewis Carroll, "Alice Adventures in Wonderland", fu pubblicato nel 1865, quando questa malattia non aveva ancora catturato l'interesse della scienza; eppure ciò che succede a Alice richiama una condizione neurologica esistente e concreta, dimostrando che talvolta la fantasia e l'assurdo possono anticipare nel modo più autentico la realtà.

Scritto da Silvia Rossi;  fonte:  https://www.stateofmind.it


Dottoressa Silvia Rossi
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