Sul disturbo Istrionico

26.09.2018

Mi chiamo Costanza, 26 anni e sono tante cose.
Bella ragazza, studentessa modello, attivista sociale, parlo tre lingue.
Mi piace ammaliare, stupire, sedurre. 
Guardate che brava, che bella. Guardate meglio, di più, che non mi basta mai.
Sto con Luca da 3 anni: "è troppo il tempo che trascorri davanti allo specchio, Costanza" e ogni volta che lui guarda dall'altra parte, mi sento morire.
Esagero con il rimmel, accorcio la gonna, risalto la scollatura, perché se tutti mi desiderano dovrai farlo anche Tu.
Rido forte, piango forte, la voce di un tono più alto.
Da bimba ricordo le mie sole tre bambole, me le mettevo attorno e loro dicevano: "Costanza, che bella. Costanza, che brava".
Mamma e papà tornavano quando mi ammalavo, mi stringevano: "la salute è importante". Guarivo, partivano.
Cominciai a tossire più forte, arrossando gli occhi, piangendo e fingendo di morire, così da farli rimanere un giorno in più.
Ho imparato che per essere amata devo farmi sentire, e tutto in me è cosi plateale, rumoroso.
Ho scritto su un quaderno una poesia, perché scrivere poesia è parlare agli assenti, è cercare affetti smarriti, pregarli di tornare indietro.
Mi sento appesa al bordo di pagina e temo di essere finita.
Andrò a ballare stasera, mi sentirò meglio. 
Sarò brava. Sarò bella.

E al diavolo le stronzate.




Scritto da Silvia Rossi; foto di Kate Maldonado, "Nobody's home"



Dottoressa Silvia Rossi
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